Georgina Spengler                        Biography                              Paintings                                   Bibliography                                Contacts

 

Paesaggi nascosti                                                                                                                                                             ENGLISH                       CLOSE

                                                                             

Una delle caratteristiche più affascinanti di certi pittori è come alcuni di essi vengano progressivamente sedotti dalla potenza della loro stessa arte. Osservando lo sviluppo della carriera di artisti del calibro di Tiziano, Rembrandt, Turner e Monet è possibile misurare come, passo dopo passo, soccombano al potere del gesto pittorico e come la predominanza assoluta della narrazione venga gradualmente erosa, divenendo una sintesi completamente nuova fra forma e contenuto, dove la prima assume sempre più importanza nell’equilibrio fra i due. Il soggetto resta sempre una visione oggettiva sia che si tratti di una pietà del tardo Tiziano, o un autoritratto del tardo Rembrandt, o ancora un paesaggio degli anni finali di Turner, o le ultime ninfee di Monet, tutte opere che virano progressivamente verso un’astrazione totale.

Dagli ultimi lavori di Monet all’ esplosione negli anni ’50 dell’espressionismo astratto il passo è molto breve. Il soggetto, se c’è, non è più una realtà oggettiva, diventando invece puramente soggettiva e richiedendo un’interpretazione personale. Spesso, comunque, il gesto esiste senza il bisogno di un supporto narrativo. Clement Greenberg, uno tra i più influenti critici americani del dopoguerra, comprese l’influenza fondamentale dell’ultimo Monet sugli artisti che negli anni ’50 rifuggivano l’astrazione geometrica scegliendo di lavorare “con la bidimensionalità del piano pittorico e la gestualità del dipingere”. In alcuni artisti che lavorano in questo periodo, in modo particolare in alcune opere di Sam Francis e Joan Mitchell, si vede la volontà di esprimere un’idea di figurazione, soprattutto l’idea del paesaggio. Alcuni dei lavori della Mitchell sono così vicini alle ultime tele di Monet, che potrebbero anche toccarsi.

Nella storia dell’arte occidentale temi come il ritratto, la pittura di storia (inclusa quella religiosa), la natura morta, la scena di genere ed il paesaggio, una volta ideati non muoiono mai ma vengono semplicemente trasformati e il loro passaggio da soggetti di una narrazione oggettiva ad un’altra soggettiva rappresenta una delle grandi evoluzioni dell’arte.
Sia Georgina Spengler che Isabel Ramoneda sono “pittrici gestuali”, ed entrambe sono ispirate dal tema del paesaggio, non con il fine di una rappresentazione oggettiva, bensì per una trasposizione molto più nascosta ed intima. I loro paesaggi sono profondamente interiori, memorie della natura piuttosto che scene riconoscibili. Ognuno di noi può darsi una risposta differente, in ognuno può risvegliarsi un ricordo, una diversa associazione di elementi ma non c’è alcun dubbio che si stia osservando un paesaggio.

Il lavoro di Georgina sembra essere immerso totalmente in una visione lussureggiante della natura, con colori ricchi sparsi sulla tavola ovunque la si guardi. Ti abbracciano con la loro intensa bellezza portandoti nella loro intimità, dove il colore gocciola da ogni angolo. Ci si tuffa in un paesaggio intriso di luce, pieno di movimento e di colore naturale, come nelle foreste dove la luce filtra dal fitto fogliame. Per queste opere Georgina parla di una suggestione di Fragonard e in effetti nella pennellata sciolta e libera del pittore francese c’è qualcosa che accomuna entrambi.

Tuttavia Fragonard, nonostante la sua pittoricità fremente, viveva in un’ epoca in cui la narrazione oggettiva era legge assoluta, mentre Georgina può trarre benefici dalla totale libertà del nostro tempo.
Le parole compaiono nei lavori di entrambe le artiste ed è interessante il loro differente uso.

Le parole di Georgina sono brani di poesia, facilmente decifrabili, prelevate dalle fonti che ispirano; Isabel, invece, impiega sia parole isolate sia righe, con o senza parole, come frammenti di memoria che ci permettono quasi di spiare nella sua vita attraverso i quadri; testimonianze di un diario visivo dove i diversi ricordi emergono in maniera imprevista dalla superficie pastosa, carica di segni complessi tracciati con ampia varietà di tecniche: matite, piccoli segni, parole leggibili e non, graffi, annotazioni, pittura liquida e densa, sfumature talora appena percepibili ed altre volte di forte evidenza.

In queste prove Isabel ha fatto un insistito uso del colore, prima applicato e poi a volte cancellato per essere nuovamente riapplicato, in un processo senza fine. Il suo colore non è calma distesa, ma rivela un mondo accidentato e spigoloso.
Se nel caso di Georgina più osservi i suoi dipinti e più vi sei trascinato dentro assieme a lei, qui sei trascinato non solo nella complessa struttura dell’opera ma allo stesso tempo nell’essenza più intima e privata della vita dell’artista.

Forse per Georgina il paesaggio rappresenta tutto, mentre per Isabel è un pretesto per qualcos’altro.
Entrambe le artiste, diversamente da quanto accade a molti dei grandi astrattisti che si affidano a precisi gesti pittorici come leitmotiv, usano una quantità di tecniche diverse. Entrambe non si pongono limiti di tecnica o di metodo, tutto può risultare utile, e, rispetto al passato, ciò rappresenta una differenza significativa. Penso che i pittori gestuali della prima generazione avrebbero considerato questo approccio come un affronto alla purezza del lavoro, una mancanza di rigore; tuttavia questo integralismo nell’arte odierna sembra scomparso. Già un artista come Cy Twombly ha più volte, nella sua lunga carriera, abbracciato differenti forme pittoriche e gestuali.

I lavori su legno di Georgina ed Isabel rifuggono le grandi dimensioni ora tanto di moda; sono al contrario assai concentrati e restituiscono innumerevoli punti di vista, rivelando ricchezze nascoste man mano che l’osservatore diventa familiare col dipinto. Entrambe le pittrici impiegano tempi lunghissimi nello stendere e rifinire le superfici. La classica immagine di un Pollock, in un’estasi creativa mentre in piedi sulla tela rovescia grandi vortici di colore, è lontana dall’approccio ponderato delle nostre artiste. Le loro opere richiedono riflessione ed equilibrio, e sono create lentamente.
Entrambe sono pittrici nel senso più classico del termine, ma allo stesso tempo attuali, e dimostrano che sia la pittura sia un genere come il paesaggio non sono affatto morti; un capriccio borghese da relegare ai libri di storia.

L’importanza della pittura sta nuovamente riemergendo dappertutto.
Le mostre abbondano ed il periodo buio durante il quale i pittori per lavorare si nascondevano nelle loro soffitte è finito. In qualche modo sembra esserci una connessione fra quel periodo buio e l’ abbandono dell’idea di “bellezza” (qualunque cosa possa significare), come una componente possibile o necessaria in un’opera d’arte.
Questi valori sembrano appartenere ad un’altra epoca, associata alla famosa distinzione fra arte “alta” e “bassa”, e dove il “bello” come valore apparteneva ad una visione del mondo agiata e borghese, spazzata via in seguito allo tsunami culturale del ’68 e alla rivoluzione politica dei movimenti di estrema sinistra che hanno dominato il dibattito culturale e prodotto molta critica, influenzata in modo considerevole da parte della scuola dei filosofi di Francoforte, Adorno ed Horkheimer su tutti.
L’ampia frattura culturale che si era aperta si è rimarginata e oggi ogni strumento creativo viene considerato accettabile nella realizzazione di un’opera d’arte. Georgina e Isabel sono artiste contemporanee, eppure le vedi lavorare seguendo una tradizione antica, che però non rappresenta un limite per nessuna delle due, bensì una forza ed una risorsa senza fine dalla quale trarre ispirazione.
All’alba della sua fama internazionale Tracy Emin si è dichiarata iconoclasta, annunciando alla televisione nazionale inglese che la “pittura è morta” ed è inutile el mondo contemporaneo, per poi esporre, pochi anni più tardi, al padiglione inglese della Biennale a Venezia numerosi suoi disegni e dipinti.
C’è qualcosa di meraviglioso nei cambiamenti, talvolta enormi ma più spesso piccoli, nella storia dell’arte durante i secoli, movimenti assai spesso impercettibili che si scontrano con le grandi rotture improvvise, così frequenti nel mondo contemporaneo, accompagnate da consenso e successo immediati, per poi rivelarsi spesso fragili dinanzi al giudizio spietato del tempo e della memoria.


Ian Rosenfeld